I saharawi, abitanti del deserto, nomadi pastori di lontane ascendenze yemenite al termine di diverse fasi di migrazione, si stabiliscono definitivamente in un territorio desertico a sud dell’Atlante, a ridosso dell’oceano Atlantico settentrionale. Da anni la regione è oggetto di contese geopolitiche e di pressioni anche violente da parte del vicino Marocco. Un apparente disinteresse sembra avvolgere la controversia e né gli organismi internazionali né i singoli Stati sono in grado di dirimere la questione locale e la comunità internazionale trascura colpevolmente gli interessi del popolo saharawi, afflitto da precarie condizioni di vita nei campi profughi e dalle angherie dell’esercito marocchino nei propri territori e sempre più isolato dal punto di vista internazionale.
Un muro, che delimita illegalmente un territorio ricco di fosfati, coste pescosissime e giacimenti di petrolio, ha luogo in Africa e ci parla di ingiustizia, arroganza e diritti violati ma, nello stesso tempo, ci ricorda che in quelle terre c’è una popolazione che sta lottando nella non violenza. Precarietà e sacrificio caratterizzano le giornate a Tindouf, l’assenza di elettricità e la scarsità dell’acqua non ostacolano la perfetta organizzazione degli accampamenti: scuole, ambulatori, pozzi per l’acqua e orti trovano spazio nelle tendopoli, aree dove poter coltivare il desiderio di libertà e di resistenza nell’esilio. I campi saharawi sono gli unici in Africa a essere interamente gestiti dalla popolazione, in particolare dalle donne.
La Rete Saharawi ha lo scopo di far conoscere le tradizioni, la cultura, la storia, i diritti del popolo saharawi a tutti i cittadini delle realtà italiane ed è finalizzata ad allargare le basi di una solidarietà necessaria non solo per gli aiuti economici ma soprattutto per un sostegno in direzione della giustizia, del raggiungimento della libertà e della pace del Popolo Saharawi