Iniziative a cura di CentroDoc “Lorusso-Giuliani”, Archivio via Avesella e Cua
Programma delle tre giornate:
Domenica 10 marzo
@ CentroDoc Lorusso-Giuliani – Vag61, via Paolo Fabbri 110
– alle 13: pranzo sociale (info sul menu e per prenotare)
– alle 16: “Se vi va bene bene se no seghe” un libro di Valerio Minnella
– alle 18: GANG in concerto
Lunedì 11 marzo
@ Lapide di via Mascarella
– alle 9,30: ricordo del compagno Francesco
@ Archivio via Avesella – via Avesella 5/A
– alle 18: call for thesis “Studiare il ’77 e i movimenti sociali”, reading e proiezioni + aperitivo
Martedì 12 marzo
@ via Zamboni 38 – Univ. Bologna
– alle 18,30: Re/immaginareil ’77, “Una memoria eretica del presente”, dibattito con Tano D’Amico, Valerio Monteventi, Archivio via Avesella e C.ollettivo U.niversitario A.utonomo
– fino al 15 marzo (aula Roveri): mostra fotografica “’77: storia di un assalto al cielo” a cura del CentroDoc Lorusso-Giuliani
– alle 22: notte bianca con Girovelle Psicotroniche
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La novità di quest’anno è che due archivi di movimento, quello di via Avesella e il CentroDoc “Lorusso – Giuliani”, hanno deciso di costruire un percorso comune per ricordare l’assassinio di Francesco Lorusso dell’11 marzo 1977 e le giornate della rivolta del ’77, attraverso una serie di iniziative che intendono dar vita a variegate forme di testimonianza collettiva per capire e rivendicare le ragioni di un movimento che non si fece intimorire dalle azioni repressive dello Stato.
In primo luogo perché il movimento del ’77 non ha mai voluto saperne di “padri”, di “fratelli maggiori”, di “tradizioni storiche”, di “esperienze comuni”. All’interno degli immensi “serpentoni” o dei “grandi draghi” multicolori, hanno sempre trovato spazio e accoglienza la rottura con il passato e la “distruzione della linearità e del continuum passato-presente-futuro”.
I “molti compagni autori” scrissero su “Bologna Marzo 1977 … Fatti nostri”: «Noi non vogliamo spiegarci, non vogliamo scusarci per le vetrine che abbiamo abbattuto, per le lezioni saltate, per la ribellione che abbiamo dentro e fuori, da ora in poi, la nostra testa; siamo schizofrenici, siamo abbastanza tristi e felici da non morire mai, e da ascoltarci e amarci. (…) Non vogliamo spiegarci, come già detto non vogliamo farlo, vogliamo parlare noi, loro non hanno ancora capito niente!».
Sono passati ben 47 anni da quei giorni, oggi c’è stato un cambiamento delle problematiche sociali, ma molte di queste non sono tanto diverse da quelle che diedero origine e linfa al movimento del ’77. Non si tratta di fare confronti ed equiparazioni improponibili, tra il movimento di allora e quelli che abbiamo visto in questi anni. Ma vogliamo tracciare un percorso di “memoria storica partigiana” teso a comprendere il senso di quel movimento e l’attualità di alcuni dei suoi contenuti. Dalla libera circolazione di idee e tecnologie e contro ogni proibizionismo al comporsi e ricomporsi della singolarità desiderante e alla libera circolazione del piacere; dal rispetto della sofferenza alla non santificazione della “zombie-famiglia”; dalla riduzione generale del tempo di lavoro alla proliferazione di circuiti connettivi di comunicazione orizzontale contro il potere del danaro e della pubblicità sulla comunicazione al nomadismo virtuale e fisico e all’abolizione di ogni barriera nazionale. Vogliamo ricordare queste idee così come – nessuno se lo ricorderà più – la “riforma istituzionale” elaborata dal movimento del ’77: “La Repubblica Italiana è una repubblica fondata sulla fine del lavoro salariato”.
Nelle piazze e nelle strade del ’77 un movimento di giovani, solidali nella libertà che si stava costruendo, eguali nei diritti, diversi e variegati nei colori e nelle idee, multiformi nei bisogni e nei desideri, fu l’embrione di una nuova comunanza etica e sociale.
Da quel “decennio rosso” agli anni dei nostri tempi bui quei valori di libertà, eguaglianza, solidarietà che si stava costruendo sono stati frequentemente calpestati e vilipesi, fino a far credere alla loro definitiva scomparsa nel nome della concorrenza, dell’affermazione individuale, della grinta manageriale, dell’ognuno per sé e del dio/denaro per tutti, tutti nascosti dietro al dito della modernità.
Ma l’ironia della storia è senza limiti e fa sberleffi; il 31 dicembre di quell’anno terribilis non è ancora arrivato e, oggi come un tempo, ricordatevelo signori del potere, ci sarà sempre “una risata che vi seppellirà”.