Il 20 Novembre, come ogni anno, ci ritroviamo insieme per il TDOR, transgender day of remembrance. È una giornata la cui "ritualità" non rifiutiamo, piuttosto riconosciamo la potenza del rituale collettivo quando si impegna a ricordare, da un lato, mentre diamo voce alla nostra rabbia, alle nostre rivendicazioni.
Ci vogliamo vivə e non solo: siamo consapevoli di quali sono le ingiustizie e le discriminazioni che uccidono o che ci vogliono costringere a vite tristi, sfruttate.
Non abbiamo bisogno di esperti, sappiamo tutto perché lo viviamo ogni giorno sulle nostre pelli, sui nostri corpi. Sappiamo anche che non tuttə facciamo la stessa esperienza della violenza perché essere una persona trans o non binaria non significa che la nostra identità di genere definisca totalmente noi stessə, non siamo un "tema", una "postilla" alle lotte per l'autodeterminazione. Ne siamo invece protagonistə, punto di vista prioritario per smontare la grande macchina dell'eterocispatriarcato colonialista e capitalista.
Siamo trans e abbiamo diritto al nostro nome e al genere che ci rappresenta, non vogliamo più sottostare alle paranoie anagrafiche dello Stato, dei giudici, dei dottori: siamo anche il nostro nome e il nostro nome lo scegliamo noi, nessuno può impedircelo.
Siamo trans e non soffriamo per questo, non è una "patologia", se soffriamo è perché ci ritroviamo a fare i conti con una cultura che non prevede la nostra esistenza, che opprime e reprime ogni soggettività che esce dall'ideologia del genere: o sei uomo o sei donna, e se sei donna sei pure un po' "meno". Noi siamo liberə e la libertà fa paura.
Siamo trans e la nostra salute non è solo il percorso di affermazione di genere. Tutta la gestione della salute è fondata su presupposti cis ed eterosessuali, non ci sono abbastanza consultori per noi, non ci sono abbastanza centri anti-violenza per noi, perché non rientriamo nelle categorie di genere riconosciute.
Siamo trans e siamo disabili, siamo neurodivergenti e viviamo forme di infantilizzazione e ricatto per questo. La chiamano "co-morbilità" come se fossimo malatə 2 volte, quando siamo invece persone alle prese con un mondo costruito da altri e per altri. Spesso non veniamo credutə, siamo ostaggio delle famiglie d'origine, transfobiche e disinformate, perché i nostri legami sfamigliari non hanno riconoscimento. Vogliamo che la cura sia condivisa, collettiva e priva di "tutori" che non abbiamo diritto di scegliere.
Siamo trans e, quando ci viene permesso, lavoriamo. Siamo operaiə, siamo insegnanti, siamo operatori/operatrici sociali, siamo precariə, siamo nelle lotte sociali e la nostra agenda deve essere implementata in tutti i settori del lavoro "riconosciuto". Sul posto di lavoro non si contano le discriminazioni, i misgendering, così come le battaglie per la nostra affermazione.
Siamo trans e siamo sex worker, il "mestiere più antico" e da più tempo mantenuto nell'ombra e nello sfruttamento, nella precarietà e nel pericolo. Criminalizzare significa solo mantenere uno status quo nell'interesse del potere patriarcale e di quella stessa "morale" fondamentalista che crea tabù per punire e reprimere. Vogliamo essere liberə di scegliere e autodeterminare i nostri corpi, in sicurezza e con dignità.
Siamo trans e siamo migranti, siamo rifugiatə, siamo seconde, terze generazioni. Siamo nerə e ci portiamo addosso lo stigma della cultura coloniale. Non ci sono abbastanza risorse e spazi quando entriamo nei meccanismi dell'accoglienza. Le narrazioni prevalenti ci schiacciano entro stereotipi maschilisti e razzisti. La nostra stessa esistenza smaschera le politiche di "inclusione" che troppo spesso si presentano come "favori" elargiti dalle istituzioni dei "normali". Inclusione non significa normalizzazione, significa invece scompaginare il concetto stesso di normalità con tutti i suoi confini, geografici e morali.
Siamo trans e quando siamo in carcere veniamo isolatə perché non siamo previstə. In un sistema carcerario che rifiutiamo, ci troviamo più solə di chiunque altro. Nonostante questo prendiamo parola, ci affidiamo alla voce dellə compagnə "fuori" perché questo tutto questo deve finire.
Siamo trans e studiamo, siamo nelle scuole. Lì non troviamo spazio così come non lo trovano lə nostrə amichə e compagnə che da anni ormai pretendono educazione ai generi, sessuale e al consenso. Dove studiamo vecchie storie di vecchi uomini cis e siamo stufə dell'ignoranza del sistema educativo e dell'ostracismo dei comitati catto-fascisti. Siamo studentə e occupiamo per noi e per chi starà dietro/sopra/davanti ai banchi dopo di noi.
Siamo trans e, ricordando le nostre sorelle, i nostri fratelli uccisə dalla violenza in tutte le sue forme, gridiamo forte che il futuro è nostro e continueremo a costruirlo nonostante i governi, nonostante le istituzioni, nonostante tutto.
Noi siamo.