Con Emanuele Leonardi (Università di Bologna)
Fino a non molto tempo fa, la mancanza di un immaginario sull’emergenza climatica veniva definita “la grande cecità”. Oggi, grazie anche mobilitazioni alle grandi dei movimenti ambientalisti di crisi climatica si è iniziato a parlare in maniera più diffusa e tuttavia questo non basta, da diversi punti di vista.
Innanzitutto, niente viene fatto: da un punto di vista meramente pragmatico, i grandi cambiamenti che potrebbero ridurre la produzione di CO2 non vengono attuati. Il suolo continua a essere sfruttato con opere inutili e dannose, l’estrattivismo scava sempre più veracemente nelle viscere della terra, la produzione aumenta rimanendo il principale criterio di benessere di un paese, il commercio globale ingigantisce le sue rotte badando solo al profitto, incurante dei danni a persone e ambiente.
Al contempo, la responsabilità della situazione è rovesciata sui singoli, che vengono incalzati come se potessero modificare la situazione attuando misure «spesso poco più che ornamentali», come scriveva nel 2018 Luca Mercalli.
Dell’emergenza climatica dunque, si parla, ma poco e male. È in atto una “grande demistificazione che nega le responsabilità e nasconde i problemi più incisivi, nega le soluzioni.
Di questo vorremmo iniziare a discutere in una prima serie di seminari che coinvolgono ricercatori e ricercatrici che abbiamo incontrato nel nostro percorso. A partire da coloro che partecipano ai Researchers for Climate Justice nel tentativo di continuare a produrre riflessioni “per” e “all’interno delle” mobilitazioni in atto.