Terzo seminario del ciclo Global Reset: scenari dal disordine planetario
Introduce e coordina: Mattia Frapporti (Into the Black Box)
Con: Giorgio Grappi (Università di Bologna) e Sergio Bologna (storico)
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La domanda di fondo che guida questo seminario è la seguente: alla luce dei due “Black Swans” (per citare Taleb 2007) o “soggetti imprevisti” (per citare Chicchi-Simone 2022) occorsi negli ultimi tre anni, vale a dire Covid-19 e guerra in Ucraina, che hanno prodotto un copioso dibattito sul tema della “de-globalizzazione”, come cambia la centralità economico-politica della logistica? Se infatti possiamo considerare la logistica e il suo footprint la “costituzione materiale della globalizzazione”, osservare i mutamenti dei mondi logistici conduce immediatamente al cuore delle rotture e ridefinizioni in corso attorno al tema della “globalizzazione”. Sono evidentemente domande e snodi semplificati che ne racchiudono molte altre.
Alcuni progetti infrastrutturali continuano a indirizzare l’agire politico nonostante i due “disruptive events” citati sopra. È il caso della BRI o della “infrastrutturazione” dell’Africa di matrice cinese, così come degli ingenti progetti infrastrutturali in America Latina (anche qui la Cina non pare del tutto estranea), o dei progetti dei nuovi cavi sottomarini come il “Firmina” di proprietà Google che connetterà nel 2023 Stati Uniti a Brasile, Uruguay e Argentina. Allo stesso tempo anche la “logistica” sembra trovare più o meno agilmente nuove strade da percorrere, mostrando una capacità di resilienza e adattamento non certo nuova e superando agilmente bottlenecks di varia matrice.
Eppure, va comunque notato che un processo di cambiamento sta indubbiamente avvenendo. Da un punto di vista politico il punto all’ordine del giorno appare quello del “multipolarismo”. Dunque, non una staffetta attraversata da eventi più o meno drammatici come guerre e crisi globali che porterà a un passaggio di leadership dagli Usa alla Cina come preconizzato da Arrighi e dalla teoria dei cicli egemonici. Piuttosto, un approdo a una dimensione appunto multipolare. Alcuni autori come Wang Wen, professore al Chongyang Institute for Financial Studies, Renmin University of China, parlano del 2022 come l’anno della “de-occidentalizzazione” globale, paragonabile al 1991 quando “finì la guerra fredda”.
D’altro canto, Covid-19 e guerra hanno portato alla rottura di almeno alcune catene globali del valore che si alimentavano soprattutto in Cina. Le politiche zero-Covid che hanno notevolmente rallentato il PIL cinese, hanno avuto ripercussioni sull’intero pianeta che tuttora ne risente, nonostante il recente tentativo di riaperture di Xi dovuto anche (o forse soprattutto) alle proteste interne. Anche gli Stati Uniti con le nuove politiche di reindustrializzazione come quella varata da Biden con l’Inflation Reduction Act, stanno riorganizzando le loro filiere produttive. Infatti, sebbene formalmente varato per rispondere agli obiettivi climatici figli dell’accordo di Parigi, i 370 miliardi dell’IRA mirano a un’indipendenza energetica statunitense attraverso nuove fonti di energia. Sempre sul piano dell’energia non si possono non constatare le mosse più evidenti che molti Stati europei, e l’UE più in generale, stanno mettendo in piedi per emanciparsi dalla dipendenza da fonti russe. Il “piano Mattei” – almeno per quanto emerso da questi primi giorni – del governo Meloni va esattamente in questa direzione. Infine, e sempre a proposito di UE, il Chip Act (approvato in realtà l’8 febbraio 2022, quindi prima dell’invasione ucraina) prevede l’investimento di 43 miliardi di euro per raddoppiare entro il 2030 la produzione europea di chip, rendendo così autonomi gli Stati membri dalle forniture extra europei.
Se è vero tutto questo, dando adito alle retoriche sulla fine della globalizzazione che si sentono da più parti, come si spiega il record di scambi commerciali che nel 2022 ha raggiunto i 32 trilioni di dollari? È sufficiente rispondere a questa contraddizione evidenziando la nascita di nuovi blocchi regionali/continentali? Siamo di fronte a un ri-orientamento della globalizzazione o l’evidente crisi del modello di globalizzazione neoliberale americana si muove verso forme di re-shoring (“de-globalizzazione”)? Cosa ci permette di intravedere un focus su infrastrutture e logistica nel mondo che si sta dischiudendo di fronte ai nostri occhi?